Lui è un uomo affascinante, seducente e passionale; lei è una donna bisognosa d’amore. Lui è una personalità narcisistica; lei è una dipendente affettiva. Quella descritta nel film “Mon Roi” è una relazione come tante, troppe: un grande amore passionale, coinvolgente e tormentato. Ma è davvero amore?
Tony, questo il nome della protagonista, viene ricoverata in un centro di riabilitazione dopo un grave incidente sugli scii, un’occasione per lei di riflettere sulla sua relazione con George “il re degli stronzi”, come lui stesso adora definirsi, di come lo abbia amato e di come abbia permesso a sé stessa di vivere un amore così malato, soffocante, distruttivo. In altre parole: tossico.
Come George, nelle personalità narcisistiche predomina l’ossessiva necessità di ammirazione, la mancanza di empatia e un forte senso di superiorità. Nel loro schema relazionale la manipolazione tende spesso a prendere il sopravvento, così come l’istinto di sminuire e la convinzione di dover ricevere attenzioni e trattamenti speciali. Come Tony, invece, i dipendenti affettivi soffocano ogni interesse, bisogno e desiderio individuale per occuparsi dell’altro, nonostante questo atteggiamento provochi profonde sofferenze.
Succede che la/il dipendente affettivo non sia in grado di porre fine alla relazione perché “ama troppo”, ha paura del cambiamento, del rifiuto, dell’abbandono e della solitudine. La paura dell’abbandono, in particolare, rappresenta un timore comune ed è questo terrore che può portare a sviluppare un comportamento dipendente, a chiedere continue rassicurazioni, a provare ansia per un’eventuale separazione e a vivere nella costante angoscia di perdere la persona amata che si trasforma, così, nel proprio re o regina. Alla base della paura del rifiuto può celarsi anche una scarsa autostima scatenando, di conseguenza, un forte senso di inadeguatezza, frustrazione e malessere.
La dipendenza affettiva è caratterizzata da una vera e propria desertificazione sociale, chi ne soffre concentra la maggior parte del proprio tempo e delle proprie energie sull’oggetto di dipendenza, perdendo con il tempo gli interessi, le passioni e le occupazioni che in precedenza aveva. È disposto ad annullare sé stesso e la propria vita, non riesce a capire che il vero amore è quello che, al contrario, dà autonomia e reciprocità.
Secondo alcuni studi, una delle cause della dipendenza affettiva può essere ricercata nel rapporto instaurato con i genitori durante l’infanzia che possono non essere stati in grado di soddisfare i bisogni dei propri figli. La storia familiare dei dipendenti affettivi è spesso caratterizzata da esperienze traumatiche, dolorose e problematiche. In alcuni casi chi diventa affettivamente dipendente può aver ricevuto, durante l’infanzia, il messaggio di non essere degno di amore e che i propri bisogni non siano rilevanti. In questo modo tenderebbe a sopravvalutare l’altro perdendo il contatto con la realtà. Ci si aggrappa all’altro come farebbe un bambino con il genitore. Quando ci si pone come figli del proprio partner, dinamica molto comune nelle dipendenze affettive, ci si sente inadatti ad affrontare da soli le sfide quotidiane, si ricerca costantemente aiuto, protezioni, attenzioni e rassicurazioni.
La dipendenza affettiva, ad oggi, non è ancora stata definita in maniera univoca e universale. Esistono, infatti, diversi tipi di dipendenti affettivi, ciascuno con i propri comportamenti e le proprie modalità relazionali. L’associazione “Love Addicted Anonymous” ha descritto alcuni profili tipici
• Dipendente affettivo-ossessivo: non è in grado di separarsi dal partner nonostante quest’ultimo sia svalutante, indisponibile e a sua volta dipendente da altro, come alcool o droghe;
• Dipendente affettivo-codipendente: partendo da una bassa autostima di sé, farebbe di tutto per l’altro nella speranza, un giorno, di essere ricambiato;
• Dipendente dalla relazione: non è più innamorato del partner ma non riesce a lasciarlo perché ha paura del cambiamento e della solitudine;
• Dipendente affettivo-narcisista: la relazione “malata” non lo preoccupa ma dinnanzi alla minaccia di abbandono cerca con tutte le sue forze di mantenere la relazione, persino ricorrendo alla violenza;
• Dipendente affettivo-ambivalente: soffre di un disturbo della personalità. Ricerca l’amore ma ha paura dell’intimità;
• Seduttore rifiutante: in un circolo continuo di disponibilità e indisponibilità, cerca un compagno per ricevere affetto e compagnia per poi rifiutarlo quando si sente insicuro;
• Dipendente romantico: la dipendenza, in questo caso, coinvolge più di un partner. I dipendenti romantici instaurano legami con tutti i loro partner anche se le relazioni sono brevi e si sviluppano simultaneamente.
Ma ci si può liberare dalle catene di una dipendenza affettiva? La risposta è sì. Nel caso di un amore tossico è possibile focalizzarsi su alcuni punti per cambiare il proprio modo di vivere la relazione:
• Riflessione e consapevolezza: è fondamentale imparare a riconoscere le proprie insicurezze e vulnerabilità;
• Recuperare la propria autonomia: prendersi del tempo per sé e per le proprie passioni;
• Accettare e riscoprire la solitudine come un’occasione per prendersi cura di sé;
• Ritrovare la fiducia in sé stessi;
• Confrontarsi e dialogare con uno specialista: perché chiedere aiuto non è mai sinonimo di fallimento.
È bene ricordarsi, per concludere, che il “non poter vivere senza” non esiste. Come diceva Erich Fromm, «L’amore immaturo dice: ti amo perché ho bisogno di te. L’amore maturo dice: ho bisogno di te perché ti amo».
1Ascher e Levounis, “The behavioral Addictions”, 2015
2Campos, Frankle e Camras, “On the nature of emotion regulation. Child development”, 2004
3https://www.ipsico.it/sintomi-cura/dipendenza-affettiva/
4https://www.istitutobeck.com/terapia-cognitivo-comportamentale/dipendenza-affettiva