Negli ultimi anni, il genere del True Crime ha conquistato il grande pubblico, con una popolarità che sembra non conoscere limiti. Tra i fenomeni più recenti di questa ondata c’è la serie Qui non è Hollywood che ha saputo attrarre e coinvolgere migliaia di spettatori. Ma cosa rende questa serie, e più in generale il genere del True Crime, così irresistibile dal punto di vista psicologico? Perché storie di crimini reali, di violenza e mistero, sembrano affascinarci tanto? Scopriamolo insieme, esplorando le dinamiche che alimentano questo fenomeno.
Qui non è Hollywood ci catapulta in un’intricata rete di eventi che mescolano realtà, violenza e inganni, con una trama che esplora le indagini di un caso di omicidio davvero scioccante, quello della giovane Sarah Scazzi. Ma cosa spinge un pubblico così vasto ad essere tanto attratto da questa ricostruzione? Perché una storia di crimine così cruda e oscura riesce a tenere gli spettatori inchiodati davanti allo schermo?
Dal punto di vista psicologico, la serie si inserisce perfettamente nell’arte della narrazione avvincente, presentando un caso di cronaca nera che si sviluppa come un puzzle complesso, fatto di indizi, testimonianze e colpi di scena. Questo tipo di narrazione risveglia la nostra curiosità innata e ci stimola a risolvere il mistero. La mente umana è naturalmente attratta dalla ricerca di pattern e soluzioni, e il genere True Crime sa come incitare questa necessità di risolvere enigmi. Ogni episodio si costruisce come una sfida per lo spettatore, che, come un detective, cerca di decifrare i segnali e concludere se, come e perché il crimine è stato commesso.
La suspense e la tensione, caratteristiche imprescindibili di un buon thriller psicologico, ci fanno sentire parte del processo investigativo.
Un altro potente meccanismo psicologico che gioca a favore del True Crime è l’empatia. Non siamo solo spettatori passivi: veniamo immersi nelle storie personali delle vittime, dei familiari e degli investigatori.
Questo legame emotivo ci rende più coinvolti, ci fa sentire vicini a chi sta vivendo tragedie profonde. L’empatia è un potente strumento psicologico che ci connette con gli altri a livello emotivo, facendoci soffrire con le vittime, desiderare giustizia e ricercare risposte. L’identificazione con le vittime o con gli stessi investigatori ci spinge a riflettere sulle ingiustizie e sui misteri che circondano l’omicidio. La ricerca della verità, che coinvolge direttamente lo spettatore, stimola il bisogno di giustizia, un istinto che è fortemente radicato nell’essere umano. La giustizia, simbolicamente, ci offre la possibilità di ristabilire l’ordine in un mondo che, nel momento del crimine, sembra andare fuori controllo.
Uno degli aspetti più intriganti delle storie di cronaca nera, in generale, è la possibilità di esplorare l’incomprensibile. Il crimine, soprattutto quando è particolarmente violento o insensato, ci provoca una forte reazione psicologica. Ci chiediamo: come è possibile che qualcuno possa arrivare a compiere un atto così orribile? È qui che la psicologia entra in gioco, spingendoci ad analizzare e comprendere il comportamento deviato, spesso cercando risposte nelle dinamiche della mente umana.
È uno specchio deformato della realtà: possiamo indagare il male senza essere direttamente coinvolti. Eppure, questa esplorazione dell’oscurità ha il potere di affascinarci proprio perché, come esseri umani, siamo naturalmente curiosi di comprendere ciò che ci spaventa. Queste storie non solo ci mostrano dei crimini, ma ci permettono di entrare nella mente di chi li ha commessi, cercando di decifrare i motivi che hanno spinto ad agire. Questa introspezione psicologica, purtroppo, è spesso più affascinante di quanto vorremmo ammettere.
Un altro aspetto che spiega l’appeal del True Crime riguarda il bisogno di controllo. Quando assistiamo alla risoluzione di un crimine, anche se complesso, c’è una sensazione di ritorno all’ordine. Le indagini e la scoperta della verità ci danno un senso di controllo sul caos, restituendoci una parvenza di giustizia. Anche quando siamo di fronte a crimini irrisolti o misteriosi, c’è un processo che ci rassicura: le indagini sono in corso, la verità sta venendo alla luce. Questo senso di speranza e di controllo è psicologicamente rassicurante.
Accanto all’empatia e al desiderio di giustizia, un ulteriore motivo di fascino nel True Crime è il confronto, spesso spaventoso, con la possibilità di avere tratti in comune con chi compie atti terribili. Di fronte a storie di cronaca nera, ci chiediamo fino a che punto il confine tra “normale” e “deviato” sia realmente stabile o se, in certe condizioni, chiunque potrebbe compiere azioni estreme. Questo timore latente rende il genere ancora più magnetico: ci invita a riflettere sulle ombre della nostra psiche e ci fa intravedere la fragilità delle nostre sicurezze morali.
Il caso di Qui non è Hollywood è solo l’ultimo capitolo di una lunga storia di fascino per il genere. Altre serie, come Per Elisa – Il caso Claps su Netflix, seguono lo stesso modello narrativo e psicologico, spingendo lo spettatore a riflettere, indagare e interrogarsi sui meccanismi del crimine e della giustizia. Inoltre, podcast come quelli di Elisa TrueCrime sono ormai diventati una vera e propria esperienza emotiva per milioni di ascoltatori, che si lasciano coinvolgere dai racconti, indagando insieme a chi racconta. La curiosità morbosa, l’emozione, l’empatia e il bisogno di giustizia sono solo alcuni dei motori che ci spingono a consumare queste storie, a lasciarci trasportare da crimini reali che, purtroppo, risvegliano le nostre paure più profonde.